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Tracce di pellegrini lungo le rive del Po tra Torino e casale Monferrato

aprile 14, 1997

L’area tra Torino, Ivrea, Vercelli e Cozzo Lomellina fu senza dubbio zona di transito di pellegrini diretti a Roma, Gerusalemme o Santiago. Numerose sono le testimonianze che in tal senso provengono sia dall’archeologia sia da fonti scritte. La zona, lo dimostrano i tracciati delle strade romane, era ed è il naturale crocevia dei viandanti provenienti dai principali valichi alpini occidentali: il Gran San Bernardo e il Piccolo San Bernardo, che confluivano nella città di Aosta, e il Monginevro e il Moncenisio, che confluivano a Susa e alla Sacra di San Michele, presso Torino appunto. Da Torino poi Itinerarium Antonianum indica un’arteria che correva lungo la riva sinistra del Po e che passava per “Quadratis” (Verolengo), “Rigomagus” (presso Trino Vercellese), “Carbantia” (regione Marcova a sud di Caresana?), per congiungersi a “Cutiae” o “Cutias”1 (Cozzo Lomellina) con la strada dei Valichi di Aosta che attraverso Ivrea e Vercelli arrivava appunto a Cozzo; tratto, questo, confermato anche dalla Tabula Peutingeriana. Da Cozzo poi si raggiungeva Pavia e da qui Milano o sì piegava verso sud per Roma. Sulla riva sinistra del Po la presenza di una strada romana è indubbia, visti anche i numerosi ritrovamenti archeologici nella zona2. Come indubbio è l’uso che del tragitto se ne fece durante il Medioevo, anche se il tratto Cozzo-Vercelli-Ivrea, ecc., era il più frequentato. Addirittura non era insolito che chi preferiva usare il Moncenisio per valicare le Alpi optasse per il tratto Pavia-Cuozzo-Vercelli, scostandosi così dalla riva del Po, all’epoca selvosa e paludosa, per poi piegare su Torino. È il caso, per esempio, di Filippo Augusto che nel 1191, di ritorno dalla Terra Santa, passa “per Werzeas civitatem episcopalem, deinde per vallem de Moriana; ita quod paulo ante Natale Domini venit in Francia”. Nonostante il declino che il passo del Gran San Bernardo subisce verso la fine del XII secolo, come avvertono Stopani e Sergi,3 Vercelli sembra continuare ad essere un punto di riferimento importante per i viandanti che dall’Italia si dirigevano verso la Francia e viceversa.

Certo è che proprio la tendenza a preferire il Moncenisio al Gran San Bernardo, verificatasi come s’è detto a partire dalla fine del XII secolo deve, in qualche modo, aver riacceso il traffico sul vecchio tratto di via romana lungo la riva sinistra del Po che qui stiamo considerando. Iter di Londinio in Terram Sanctam di Matthew Paris del 1253 cita infatti espressamente come riferimento geografico il fiume Po, dopo aver ricordato “Torins la proxime cite de Lumbardie” e “Claueis” (Chivasso) sulle rive del detto fiume. Non solo, il documento, prima di menzionare Milano, ricorda poi “Munt Miliant” (?), che , se fosse una località dell’attuale Lomellina, taglierebbe la testa al toro circa il fatto che qui si stia considerando proprio la riva sinistra del Po, come arteria di congiunzione tra Torino e Milano. Testimoniano a favore della presenza di pellegrini anche resti di un probabile ospizio a Chivasso e, sicuramente attestato, ma completamente scomparso, l’ospedale gerosolimitano (1167) di Morano sul Po.4 Il tratto di strada, che senza dubbio si rivitalizzò dalla seconda metà del XII secolo in poi, forse anche grazie al fenomeno del dissodamento e delle sia pur selvagge e precarie bonifiche che caratterizzarono la realtà socio-economica della Pianura Padana dall’XI secolo in avanti,5 non era mai però caduto completamente in disuso. Sono indizi di ciò la costante preoccupazione del monastero di San Michele di Lucedio (attuale San Genuario nei pressi di Crescentino) nel procurarsi reliquie6 e la sosta di Maiolo, abate di Cluny, sempre presso il monastero di San Michele, durante un suo viaggio a Roma nel 987.7

Anche se non è certo che Maiolo in tale occasione si sia servito del Moncenisio, vi sono però indizi che possono avallare una simile ipotesi. Nel 972 Maiolo aveva avuto una brutta esperienza mentre rientrava in Francia dal Gran San Bernardo: catturato dai Saraceni, che avevano il loro quartier generale a Frassineto (in Provenza) e che rendevano certo impraticabile il Moncenisio ed erano giunti ad insidiare anche i valichi del San Bernardo, aveva trascorso un periodo di prigionia conclusosi col pagamento di un riscatto. Poco dopo il rapimento però le bande saracene di Frassineto verranno sgominate (anche se i due fatti non sono da ritenersi conseguenti, come il monaco Siro, biografo di Maiolo, sembra timida­mente insinuare,8 alla prigionia dell’abate cluniacense) dalle forze congiunte di Guglielmo di Arles, Rodolfo e Guglielmo di Marsiglia, Ponzio di Fos e Arduino di Torino, ai quali, più che vendicare Maiolo, premeva rendere sicura la viabilità transalpina.

Ora, non è improbabile che la brutta esperienza di qualche anno prima e il fatto che nel 987 i Saraceni di Frassineto non facessero più paura abbiano indotto Maiolo a varcare le Alpi al Moncenisio. La cosa pare ancora più verosimile se si tien conto del fatto che in occasione del suo soggiorno a San Genuario Maiolo promette a Guglielmo da Volpiano, allora monaco nel monastero in questione, di portarlo con sé al ritorno dal suo viaggio da Roma. Risulta altamente improbabile che Maiolo, risalendo dal sud dell’Italia, avesse pensato di puntare su Vercelli per poi scendere verso San Genuario e magari risalire nuovamente verso i valichi del San Bernardo. Anche se si ipotizzasse l’arrivo di Maiolo, dopo il suo soggiorno a Roma, non dalla Lomellina, ma dall’astigiano (quindi su una direttrice sud-nord e non est-ovest) avrebbe comunque incrociato il tratto di strada in questione presso Pontestura dove, in sostituzione del Ponte Nattingum all’epoca distrutto, era in funzione un traghetto e dove è attestata la presenza di un Hospitalis Sancii Hiacobi; è pertanto ampiamente probabile che il nostro illustre abate abbia, almeno il suo ritorno da Roma, percorso un ampio tratto di strada che seguiva la riva sinistra del Po. Ma forse si può aggiungere del materiale alla nostra riflessione. Pensando come la più recente storiografia si orienta a fare, le strade medioevali nel senso di “aree di strada”,9 più che percorsi ben definiti e rigidi tra località diverse, si possono raccogliere prove indiziarie circa un flusso di viandanti-pellegrini anche per quel che concerne la riva destra del fiume Po, sempre relativamente al tratto di percorso che stiamo considerando.

L’ipotesi può trovare un certo fondamento a partire dallo studio di Riccardo Petitti sugli allineamenti celtici dell’area occidentale delle Alpi e della Pianura Padana.10 Secondo questo studioso esisteva un allineamento celtico passante per Rivoli, corso Francia in Torino, Superga e Torrazza, che egli numera, sulla carta da lui ricostruita, col numero 29, che incrociava un altro allineamento, il numero 27, che dal Moncenisio passava per la Sacra di San Michele.

Se si tien conto che: i pellegrinaggi si svolgevano perlopiù a piedi o su cavalcatura; che, con la fine dell’Impero romano, le strade decaddero rapidamente e che il rischio di essere derubati era senz’altro maggiore su tracciati precisi e molto frequentati,11 si può forse immaginare che, com’era avvenuto per la Valle d’Aosta, i vecchi sentieri celtici non siano mai stati abbandonati completamente ed abbiano addirittura avuto momenti di ripresa.12

Ora tale allineamento, se prolungato oltre i limiti della ricostruzione cartografica del Petitti, sfiora l’antica abbazia di Vezzolano e passa nelle vicinanze di Casale Monferrato, città sulla riva desta del Po, a poco più di una trentina di chilometri da Cozzo.

Del resto è significativo il fatto che tra questo allineamento e la riva del fiume Po si possono rintracciare indizi, anche se deboli, di un qualche collegamento di quest’area sia con la Francia sia con l’iter gerosolimitano.

A Cavagnolo infatti (a circa quaranta chilometri da Casale, in direzione Torino) sorge una chiesa dedicata a santa Fede. La sua fondazione è confusa: un documento del 743 parla già di una chiesa nella zona dedicata a santa Fede. La tradizione la vuole fondata nel 543, durante il passaggio da Vercelli di Mauro, discepolo di Benedetto, mentre si recava in Francia. Ma la fondazione viene attribuita anche a san Prospero di Aquitania e viene addirittura fatta risalire al V secolo. In ogni caso si tratterebbe di un edificio precedente a quello attuale, che è da datarsi nei decenni a cavallo del 1100 o forse alla seconda metà del XII secolo.13

Il Testamento di Giovanni II del Monferrato (1372), oltre a dotare una santa Fede di Cavagnolo di case e terreni, la definisce “subiectus abbattie monasterii Conchu”, retta da un priore e due monaci; mentre una Pancarte del XVI secolo considera Cavagnolo priorato di Conques (in Alvemia) già nel XII secolo, quindi fin dal momento in cui l’attuale edificio venne eretto.

La cosa pare confermata anche sul piano architettonico, almeno secondo la Casartelli,14 che vede nella santa Fede di Cavagnolo motivi tipici dell’architettura alverniate. Comunque sia, sul portale di santa Fede domina la croce di Conques. Non è qui il caso di entrare nei dettagli circa la disputa sulla struttura architettonica della chiesetta in questione. A noi interessa solo rilevare che, al di là delle influenze alverniate o cluniacensi, il rapporto con l’area francese, e il fatto di una dipendenza gerarchico-amministrativa da Conques, non sembrano essere messe in dubbio. Ora, com’è noto, sia Conques che Cluny sono situate su grandi vie di pellegrinaggio medioevale.

In ultimo è da ricordare, sempre relativamente alla riva destra del Po, il nartece del Duomo di Casale. Le sue ampie dimensioni lo rendono insolito nel suo genere e fanno pensare ad un suo uso originario diverso dall’attuale. È probabile che questo spazio, con la sua volta che ricorda molto l’architettura templare,15 fosse originariamente adibito a rifugio per viandanti o pellegrini. Si sarebbe trattato di una sorta di struttura a cavalcavia:16 una strada (le cui tracce sono ancora visibili all’interno di un cortile privato) infatti lo attraversava longitudinalmente, nella zona ante stante i due pilastri principali. Un rilievo dell’ingegner Praga del 1953 riporta ancora la strada (unitamente alle cinquecen­tesche case dei canonici addossate alla facciata) come se fosse aperta. Se così fosse si spiegherebbe sia la disinvoltura con la quale i canonici addossa­rono le loro abitazioni alla facciata del Duomo,17 sia l’uso antico del Vescovo di ricevere le autorità cittadine al di là dei gradini che mettono in comunicazione il nartece con le navate della chiesa: segno che non da sempre lo spazio dell’attuale nartece era considerato sacro.

Forse anche le scene di battaglia dei notevoli mosaici pavimentali venuti alla luce in occasione del restauro del Mella e oggi conservati presso la sacrestia e dietro all’abside e una statua molto rovinata, che il Musso ritiene essere la raffigurazione di un crociato,18 possono, alla luce delle tesi di Stopani, secondo il quale vi sarebbe una stretta commistione tra Chansons des gestes, crociati e pellegrini,19 costituire un indizio circa una qualche presenza, o anche solo auspicata presenza di pellegrini nel duomo di Casale.

Uno dei mosaici raffigura in realtà la vittoria di Abramo sugli Elamiti, ma armi, armature e cavalcature trasportano la vicenda in pieno Medioevo; lo stesso vale per quello che rappresenta la vicenda di Nicarone narrata al capo 15 del II libro dei Maccabei.

Del resto la ripetuta frequentazione degli Aleramici, signori del Monferrato, alle crociate e la presenza, economicamente incisiva, dell’ordine dei Templari nella fabbrica del duomo di Casale, possono forse dar ragione di una sia pur vaga intenzione di esaltazione dell’epopea cristiana e della guerra santa che, come ben mostra Stopani per il mosaico della cattedrale di Otranto e per quello (praticamen­te scomparso) del duomo di Brindisi,20 spesso troviamo in coincidenza di luoghi di transito di pellegrini e crociati.

Ma su questi notevoli mosaici e sui loro eventuali agganci al tema dell’epopea cristiana occorrerebbe svolgere un lavoro di ricerca particolare.21 Alla luce di tutti questi indizi, possiamo forse concludere che esistono elementi sufficienti per ipotizzare un uso originario del nartece del duomo di Casale in qualche modo funzionale all’accoglienza di pellegrini e viandanti del Medioevo. Ciò, unitamente agli altri indizi (santa Fede di Cavagnolo e abbazia di Vezzolano), basta per poter sostenere l’esistenza di un flusso di viaggiatori non solo sulla riva sinistra del Po, ma anche su quella destra. Del resto, stando alle parole di Fumagalli, boschi e paludi (che peraltro, come già detto, a partire dal XII secolo subirono un forte ridimensionamento a causa della ripresa demografica ed agricola), spaventavano molto meno l’uomo dell’alto medioevo che non l’uomo urbano e moderno.22

Molto resterebbe da indagare e da dire circa i segni della presenza di pellegrini anche nella zona collinare monferrina immediatamente a sud del Po. Anche qui sono ancora visibili edifici romani che in alcuni casi lasciano trapelare segni dell’homo viator medioevale.23 Ma la zona in questione è forse da ascriversi ad un’altra “area di strada”, quella che metteva in comunicazione l’astigiano (a livello locale) e la città portuale di Genova e alcune vie romee provenienti dal sud (per quel che concerne le grandi distanze) con le vie dei valichi alpini del nord-ovest.25

NOTE

(1) Lo stesso percorso è menzionato anche dall’ Itinerario Burdigalense che cita: “civitas Taurinis”, “mutatio Ad Decimum”, “mansio Rigomago”, “mutatio ad Medias” e “mutatio ad Cottias” e, anche se in modo meno analitico, dai Calici di Vicarello (“Taurtinus”, “Quadrata”, “Rigomago’ e “Cuttias”).

(2) Basti al riguardo ricordare, oltre il miliario di Cozzo (cfr. BRUZZA L., Iscrizioni antiche vercellesi, Roma 1874, ris. anas. Vercelli 1973 e FERRERO E., Iscrizioni antiche vercellesi in aggiunta alla raccolta del P.D. Luigi Bruzza, Memorie della reale Accademia delle Scienze di Torino, 1891), i ben tre anepigrafi rinvenuti a Balzola (cfr. PIAZZANO L., Balzola nelle vicende storiche, Torino 1937), i sei di Trino e il miliario e altri reperti romani trovati a San Genuario, presso Crescentino (cfr. AA.VV. San Michele di Trino, Trino 1989, pp. 34-35), nonché i resti di un ponte, venuti alla luce di recente, sul fiume Sesia tra l’attuale Motta dei Conti e Candia Lomellina (cfr. B ORLA S., // Ponte romano sul Sesia, in “Antiqua”, n. 10, Roma 1978, edito anche, con altri articoli su ritrovamenti archeologici della zona, in Estratti da “Antiqua”, Trino 1980).

(3) Cfr. STOP ANI R. Le grandi vie di pellegrinaggio del Medioevo. Le strade per Roma, Firenze 1986, p. 81 e 50 e SERGI G., Potere e territorio sulla strada di Francia, Napoli 1981, cap. I.

(4) Cfr. RICALDONE A., Templari e Gerosolimitani di Malta in Piemonte dal XII al XVIII secolo, Madrid 1979. Forse l’unico resto dell’edificio in questione è rappresentato da una pietra squadrata oggi sita sotto i portici del Municipio del paese.

(5) Cfr. FUMAGALLI V., La pietra viva, Bologna 1988.

(6) Il monastero, intitolato a San Michele, nel IX secolo acquista anche le reliquie di San Genuario (Ianuarii), documentate però solo da un diploma di Ottone III del 999 (cfr. CANCIAN P., L’abbazia di San Genuario di Lucedio e le sue pergamene, Torino 1975). A partire dal secondo quarto del XII secolo la comunità monastica di San Genuario inizia anche a propagandare le reliquie del suo abate Bononio, morto nel 1026. Relativamente a San Bononio è documentato anche un certo flusso di pellegrini presso il monastero, anche se sembra trattarsi perlopiù di pellegrinaggio locale (cfr., Vita e miracoli di Bononio abate di Lucedio, a cura di F. e G. MASSOLA, in “Quaderni del Gruppo Archeologico Casalese L. Canina” n. 4 e 5, 1996).

(7) Come riporta la Vita di Guglielmo (da Volpiano) di RODOLFO IL GLABRO (RODOLFO IL GLABRO, Vita di Guglielmo, in Storie dell’anno Mille, a cura di Andenna G. eTunizD., Novara 1992, p. 178).

(8) MONACO SIRIO, Vita di San Maiolo Abate di Cluny, a cura di Spinelli G. e Tuniz D., Novara 1994, pp. 78-80. Nonostante i ripetuti tentativi di collegare la sconfitta dei Saraceni al loro sacrilego gesto nei confronti di Maiolo, Sirio però non arriva mai a sostenere espressamente che le truppe cristiane attaccarono i Saraceni solo ed esclusivamente per il fatto di aver rapito l’abate di Cluny, preferisce parlare di un disegno divino che dispone la punizione dei malvagi “barbari”; anzi arriva a concludere che: “così l’Onnipotente, annientati gli empi per i meriti del suo servo, rese libera e sicura per tutti la via che portava a Roma” (Ivi, p. 80), sottolineando in tal modo l’importanza viaria della zona del valico del Moncenisio e, indirettamente, anche quella che stiamo prendendo in considerazione. La questione è stata recentemente discussa da Noel Coulet, in un intervento dal titolo: “Maiolo, la Provenza e i Saraceni. Bilancio storiografico”, durante i lavori di un convegno internazionale su Maiolo tenutosi a Pavia il 23 e il 24 settembre 1994.

(9) Di recente Giuseppe Sergi ha fatto il punto su questa diversa concezione della strada che il Medioevo aveva rispetto al nostro moderno concetto di percorso o itinerario fra zone e località diverse, definendo il concetto di “area di strada” come “fasci di percorsi paralleli e di varianti, direzioni di flusso che sarebbe sbagliato precisare troppo ma che esistevano” (SERGI G., Via Francigena, chiesa e poteri, in Atti del seminario La via Francigena, Torino 1994, p. 15) e precisando subito dopo che: “in alcune regioni non è sufficiente adottare questa concezione allargata di strada Francigena, ma bisogna esaminare più di un’area di strada (ed è il caso delle due principali direzioni suggerite dai passaggi obbligati piemontesi, il Moncenisio e il Gran San Bernardo)”.

(10) PETITTIR., Sentieri perduti, Ivrea 1987, che ricostruisce anche cartograficamente (scala 1:100000) la rete pre romana degli allineamenti viari celtici.

(l1) A questo proposito può essere curioso il fatto che antiche leggende e tradizioni popolari descrivono gli abitanti di Morano Po (centro sito presso il tratto di strada romana sulla riva sinistra del fiume) come estremamente inospitali e tagliaborse, pronti a sgozzare i viandanti (una leggenda vuole che lo stesso sant’Eusebio, di passaggio nel paese, sia stato preso a sassate) per derubarli dei loro averi (cfr. FERRARIS A., Morano: la storia sull’uscio di casa, pp. 47-50).

(12) Cfr. Ivi, pp. 27-28.

(13) Cfr. BOUILLET A. e SERVIERES L., Sainte Foy Vierge et Martyre, Rodez 1900, pp. 367-368.

(l4) CASARTELLI S., Quattro chiese benedettine del XII secolo in Monferrato, in Atti del X congresso di storia dell’architettura, Torino 1957. Di diverso avviso è invece la Fissore Solaro, che preferisce legare Santa Fede di Cavagnolo ad ambienti Clunyacensi (FISSORE SOLARO A., // romanico nel Monferrato e i suoi rapporti con la Santonge, in Archivi e cultura ad Asti, 1971). Sulla struttura architettonica e i vari rimaneggiamenti che la costruzione ha subito si veda anche CHIERICI S. e CITI D., Italia romanica. Il Piemonte, la Val d’Aosta, la Liguria, Milano 1979, pp. 285-287.

(l5) Sui rapporti tra i Templari, la fabbrica del Duomo di Casale e la presenza dell’ordine nell’ambito della comunità casalese è di recente intervenuto il Prof. Olimpio Musso dell’Università di Firenze, con una comunicazione dal titolo / Templari a Casale e novità sul Duomo, nel maggio del 1996. Non mi risulta che al momento il testo della conferenza sia stato pubblicato; mi limito pertanto a segnalare un sunto di essa apparso su “Quaderni del Gruppo Archeologico Casalese L. Canina”, n. 4 1996, pp. 60-61.

(16) Porse sul tipo di quello, ancora perfettamente conservato, di Pons, in Francia, che Oursel ritiene essere un’architettura tipica, anche se non diffusissima, dei luoghi di sosta (OURSEL R., Pèlerins du Moyen Age, trad. it. a cura di Monti A., Pellegrini del Medioevo, Milano 1980 (II ed.), pp. 80-81.

(l7) Sul problema delle case dei canonici e sulle motivazioni, anche di carattere strutturale, che ne determinarono la loro ubicazione si veda CASTELLI A. e ROGGERO D., Casale. Immagine di una città. Casale 1986, pp. 128-129.

(18) Musso, insistendo molto sui legami che i mosaici del pavimento del Duomo di Casale avrebbero con la sensibilità religiosa e l’universo di valori dell’ordine templare, giunge persino ad ipotizzare la presenza in esso di un culto a san Var. martirizzato nel 307 in Egitto, particolarmente caro ai cavalieri del Santo Sepolcro (vedi la nota 15).

(19) Lo scrupoloso studioso delle vie di pellegrinaggio italiane, partendo dalla tesi sostenuta ad inizio secolo da Jean Bedier (BEDIER J., Les Légendes Epiques. Recherches sur laformation des Chansons de gest, Paris 1908 e 1929), ha verificato sul campo lo stretto legame tra epoca cristiana e luoghi di pellegrinaggio (cfr. STOPANIR., Le grandi vie di pellegrinaggio nel Medioevo. Le strade per Roma, Firenze 1986, pp., 31-37 e La Via Francigena del Sud. L’Appia Traiana nel Medioevo, Firenze 1992, capitolo V).

(20) Cfr. STOPANI R., La Via Francigena del Sud. LAppia Traiana nel Medioevo, cit., pp. 63-66.

(21) Qui ci limitiamo a fornire una bibliografia minima sull’argomento. Sui mosaici del Duomo casalese sono fondamentali le opere di: PORTER A.K., Lombard architecture, New Haven 1917, COMELLO E. e OTTOLENGHI G., Avanzi di antichi mosaici nel duomo di Casale, Casale 1919, GABRIELLI N., L’arte a Casale Monferrato, Torino 1935, VIALE FERRERO M., Ritratto di Casale, Torino 1966, gli atti del Quarto congresso di antichità e arte, Casale 1974 (in particolare i seguenti interventi: PERONI A., Osservazioni sul, S. Evasio di Casale nei suoi rapporti con l’arte lombarda ed europea e GABRIELLI N., Appunti sulle strutture romaniche della cattedrale di S. Evasio in Casale Monferrato), a questi va aggiunto il recente intervento del Prof. Olimpio Musso che, come ho già detto (nota 15), non credo sia stato ancora edito.

(22) FUMAGALLI V., Op. cit., in particolare pp. 87-ss.

(23) Si pensi ad esempio al motivo decorativo della conchiglia che corona il portale e alcuni capitelli dì San Secondo di Cortazzone (località Mongilietto). Sull’indubbia presenza di pellegrini presso la chiesa e sugli elementi architettonici e funzionali che fanno constatare tale presenza si veda: CHIERICI S. e CITI D., Italia romanica. Il Piemonte, la Val d’Aosta, la Liguria, cit., pp. 107-132.

(24) Sulle vie di pellegrinaggio relative alle zone dell’astigiano si veda EYDOUX E., / pellegrini nell’astigiano attraverso la toponomastica, in “Il Platano”, Asti 1978, pp. 41-ss.

(25) Oltre alle opere già citate riguardano in modo più o meno diretto la zona presa in esame le seguenti pubblicazioni: AA.VV., Histoire et civilisationsdes Alpes, Toulouse 1980, trad. it., Storia e civiltà delle Alpi, Milano 1986; AA.VV., Medioevo in cammino: l’Europa dei pellegrini (atti del. Convegno internazionale Orta San Giulio), Orta San Giulio 1989; BASCAPÈ G.C., Gli itinerari dei pellegrini, in Atti e memorie del II Congresso Storico lombardo IV-VIII, 1954; BASCAPÈ G.C., Le vie dei pellegrini medioevali attraverso le Alpi centrali e la pianura lombarda, in “Archivio storico della Svizzera italiana”, Milano 1936, pp. 129-ss; BO G., Vercelli dai celti al Cristianesimo, Vercelli 1990; BOCCA C. e CENTINI M., Le vie della fede attraverso le Alpi, Ivrea 1994; COMBA R., Per una storia economica del Piemonte medioevale. Strade e mercati nell ‘area sud-occidentale, Torino; RICALDONE A., Gli ospedali dei Templari e dei Cavalieri di Malta nel XIII secolo a Mombello, Montaldo, Guazxolo, in “Madonna di Crea”, 1988, n. 2, pp. 6-ss; SERGI G., La “via Francigena” del Moncenisio come fattore di riassetto politico nel medioevo, in La strada di Francia la route de l’Italie (“Cahiers de civilisation alpine – Quaderni di civiltà alpina”); SERGI G., // prestigio e la crisi: S. Michele della Chiusa dopo il travaglio riformatore, in Dal Piemonte all’Europa: esperienze monastiche nella società medioevale (atti del XXXIV Congresso storico subalpino), Torino 1985; SERGI G., Culto locale e pellegrinaggio europeo: un interferenza nel medioevo piemontese, in Luoghi sacri e spazi della santità, a cura di Boesch Gajano S. e Scaraffia L., Torino 1990; SERRA G., Contributo toponomastico alla descrizione delle vie romane e romee del Canavese, in Lineamenti di una storia linguistica dell’Italia medioevale, Napoli 1965, pp. 152-ss; VERCELLA BAGLIONE F., Alcune considerazioni sul percorso vercellese della strada Pavia Torino in età romanica e medioevale, in “Bollettino storico Vercellese”, n. 40, 1993, pp. 5-21.

(Il lavoro è apparso, con il titolo qui riportato e un corredo di cartine e fotografie, su «De Strata Francigena», a cura del Centro Studi Romei, Firenze 1997, V/2, pp. 75-85.